IL SACRO GRAAL

La leggenda del Sacro (o Santo) Graal è legata alla leggenda di Re Artù, di cui si è parlato in una precedente pagina del blog.

Il Sacro (o Santo) Graal è la coppa (o calice) utilizzata da Gesù Cristo nell’Ultima Cena, e che successivamente, secondo la credenza popolare, Giuseppe di Arimatea utilizzò per raccogliere alcune gocce di sangue dalla ferita sul costato di Cristo dopo la sua morte.

LA LEGGENDA SUL SANTO GRAAL E GIUSEPPE DI ARIMATEA:

La leggenda del Santo Graal è molto antica, e risale al XII secolo. La letteratura in merito è vasta, e comprende romanzi di origine inglese, francese e tedesca, che mescolano fonti religiose, storiche e fantastiche.

Giuseppe di Arimatea è un personaggio di cui si narra anche nei quattro vangeli ufficiali. Membro del Sinedrio (il tribunale ebraico), egli si occupò della deposizione di Gesù dalla Croce e della sua sepoltura nel Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò”, Mt 27,57-61).

Ritratto di Giuseppe di Arimatea.
Ritratto di Giuseppe di Arimatea.

In alcuni vangeli apocrifi (cioè non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa), si narra anche di come Giuseppe di Arimatea raccolse alcune gocce del sangue di Gesù nel calice da questi utilizzato per istituire il sacramento dell’Eucaristia durante l’Ultima Cena.

L’ORIGINE DEL NOME:

Per questa ragione, il calice viene chiamato col termine francese “Graal” (in inglese “Grail”): dalla storpiatura di “sang réél“, che in francese significa “sangue reale“. La stessa parola potrebbe però derivare anche dalla storpiatura in francese del latino “gradalis” che significa “calice“. Perciò non vi è l’assoluta certezza sull’etimologia di questa parola.

Il motivo per cui il termine “Graal” venne coniato per la prima volta in Francia, è perché in questo Paese nacque la sua leggenda, sebbene essa sia poi divenuta più famosa in Inghilterra.

LA LEGGENDA  FRANCESE:

Le leggende francesi raccontano che successivamente Giuseppe di Arimatea, durante le persecuzioni che avvennero in Palestina contro i primi cristiani, fuggì in occidente assieme a Maria di Magdala e ai suoi fratelli (Marta e Lazzaro) su una barca senza remi e senza timone, guidata dalla provvidenza. Assieme a loro vi erano anche Nicodemo e due donne, entrambe chiamate Maria (Maria Jacobi e Maria Salomè).

Sbarcati nel sud della Francia, Marta, Maria e Lazzaro si sarebbero fermati lì, mentre Giuseppe di Arimatea avrebbe continuato il viaggio fino in Britannia (antico nome della Gran Bretagna), portando con sé il sacro Graal.

La santa reliquia sarebbe stata poi affidata a diversi re, che se la sarebbero tramandata di padre in figlio, per poi essere completamente perduta. Forse nascosta dai Cavalieri Templari francesi, secondo alcune leggende.

LA LETTERATURA SUL SANTO GRAAL:

Fu tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII che ebbe inizio una vasta letteratura francese sul Santo Graal, ispirata alle leggende popolari del sud della Francia.

Uno dei più famosi scrittori sull’argomento fu Chrétien de Troyes (1135- 1190), celeberrimo esponente della letteratura epica medievale francese. Autore di famosissimi romanzi sui cavalieri di re Artù (che costituiscono il cosiddetto “ciclo bretone” della Chanson de Geste), egli fu il primo a menzionare il Santo Graal nell’opera “Percival o il racconto del Graal” del 1180-1181. In questo romanzo si cita un calice magico posseduto da uno zio di Percival, il “Re pescatore“, capace di dispensare grazie a chiunque ne entri in possesso. Percival (o Parsifal) era uno dei dodici cavalieri di re Artù, i cosiddetti “Cavalieri della Tavola Rotonda“, ed era noto per la sua purezza di cuore. Questa caratteristica gli aveva permesso di trovare il magico calice, sebbene nell’opera non venga mai esplicitamente detto che si tratta di quello dell’Ultima Cena, né viene mai menzionato Giuseppe di Arimatea.

L’autore francese che identificò il calice di Parsifal con quello dell’Ultima Cena fu Robert de Boron, nel romanzo “Giuseppe di Arimatea“, scritto tra il 1170 e il 1212. Il successo dell’opera determinò il diffondersi della leggenda, che dette origine a una vastissima letteratura inglese e tedesca sull’argomento.

COSA ACCADDE AL CALICE SANTO:

Smarrita in Gran Bretagna, si dice che la reliquia divenne oggetto di ricerca da parte dei cavalieri di Re Artù, in quanto dispensatrice di beni e di grazie.

Tra i cavalieri della Tavola Rotonda che si dettero alla sua ricerca (la celebre “Quest for the Holy Grail“, traduzione in inglese del titolo dell’opera di un anonimo monaco francese: Quête du Saint-Graal ), vi furono anche Lancillotto e Bors. Tuttavia solo Parsifal e Galahad riuscirono nell’impresa.

"Galahad trova il Graal" (Galahad discovers the Grail), dipinto di Edwin Austin Abbey del 1895.
“Galahad trova il Graal” (Galahad discovers the Grail), dipinto di Edwin Austin Abbey del 1895.

Galahad, detto Galahad il puro o Galahad il casto (Galahad the Chaste), era il cavaliere più puro di Britannia, e per questo prescelto per il suo ritrovamento. Figlio di Lancillotto (in alcune leggende, la madre è Ginevra), era predestinato al ritrovamento del Graal, e l’unico a potersi sedere sul Seggio Periglioso (Siege perilous) della Tavola Rotonda. Si trattava del tredicesimo posto della tavola, destinato da Merlino solo al cavaliere che fosse riuscito a ritrovare il Graal. Viene descritto come un trono su cui ardeva una fiamma, che avrebbe bruciato chi si fosse seduto senza averne il diritto.

LA LEGGENDA NEI SECOLI:

Per lungo tempo il Santo Graal è stato considerato molto più di una leggenda. Si pensava infatti che fosse veramente tenuto nascosto da qualche sovrano europeo, e che presto o tardi sarebbe stato trovato.

Come afferma anche la letteratura, si credeva che solo i puri di cuore potessero trovare il Graal. Infatti, come è scritto nel Vangelo di Giovanni, solo i puri di cuore potevano essere ammessi all’Ultima Cena. “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti”, Gv 13, 10-11.

IL RITROVAMENTO DEL SANTO GRAAL DA PARTE DI ALFONSO DI ARAGONA:

Il ritrovamento del Santo Graal era considerato un segno della benevolenza di Dio verso il popolo che lo possedeva. Per questa ragione molti sovrani furono ossessionati dalla sua ricerca. Il più famoso fu sicuramente Alfonso V d’Aragona detto “Il magnanimo“, che nel 1442 divenne anche re di Napoli. Convinto di essere il possessore del Santo Graal (il quale gli venne donato dai monaci del convento di San Juan de la Pena intorno al 1420), fece conservare tale reliquia nella cattedrale di Valencia, dove si trova ancora oggi esposta all’interno della Cappella del Sacro Calice.

Ritratto di Alfonso V d'Aragona, ultimo possessore noto del Graal.
Ritratto di Alfonso V d’Aragona, ultimo possessore noto del Graal.

Si tratta, tuttavia, solamente di uno dei tanti calici presenti in Europa che sono ritenuti essere il Graal.

IL MONASTERO DI MONSERRAT:

Secondo altre fonti, il vero Graal si troverebbe nel monastero di Monserrat in Catalogna, dove è presente la statua della Madonna nera (Madonna di Monserrat) patrona della regione. Il romanziere tedesco Wolfram von Eschenbach indica questo luogo nel XIII secolo.

I MEROVINGI:

I Merovingi (cioè la prima dinastia di re Franchi, spodestata poi dai Pipinidi nell’ VIII secolo d.C.), venivano detti possedere un tocco curativo. In seguito agli scritti di Chrétien de Troyes e Robert de Boron, questo dono venne loro attribuito dalle generazioni successive al possesso del Santo Graal.

I NAZISTI E LA RICERCA DEL SANTO GRAAL:

L’ultima ricerca del Santo Graal venne attuata dai Nazisti nel XX secolo. Convinti della purezza di cuore del popolo tedesco e della sua superiorità rispetto a tutti gli altri popoli, i gerarchi nazisti (e soprattutto Hitler e Himmler) si dedicarono alla sua ricerca. Sostenevano infatti che tale ritrovamento sarebbe stato un segno di benevolenza divina verso la Germania.